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Distruzione della giustizia

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOA partire dal d. lgs. 28/2010 che ha introdotto la cd. “mediazione obbligatoria”, sono stati emessi numerosi provvedimenti legislativi indirizzati ad un unico fine: impedire o, comunque, rendere sempre più difficile e/o oneroso per il cittadino accedere alla giustizia civile e, prima ancora, impedire che lo stesso possa rivolgersi ad un avvocato per la necessaria informazione circa la tutela dei propri diritti.
L’operazione di cui si parla è stata preceduta ed accompagnata da una ben meditata campagna mediatica, ancora in corso, lanciata con lo scopo di convincere il cittadino dell’errore che farebbe rivolgendosi ad un avvocato (descritto come una sorta di vampiro) per la risoluzione delle controversie, essendo altresì preferibile adire organismi alternativi (come le società private di mediazione - o conciliazione, termine quest’ultimo ora usato in preferenza, ad esempio, nelle pubblicità radiofoniche o televisive), descritti come più rapidi ed efficienti, ancorché, falsamente, meno costosi.
Contestualmente, l’operazione medesima ha comportato l’emanazione di provvedimenti legislativi severamente punitivi per chi volesse adire il Giudice naturale (quello previsto dalla Costituzione Italiana). In termini tecnici si chiamano “disincentivi” e sono costituiti, oltre che dalla previsione della mediazione obbligatoria per la maggior parte delle liti (costosa e pregiudizievole), dagli aumenti esponenziali dei costi occorrenti per il contributo unificato, necessario per iscrivere le cause a ruolo.
Di recente, con la giustificazione pretestuosa di problemi di bilancio, per l’evidente marginalità in termini di costi per lo Stato, il D.L. 6/7/2011,n. 98, oltre ad aver aumentato il contributo unificato per tutti i giudizi, ha introdotto un perverso meccanismo “annuale” di adeguamento del contributo unificato: l’art. 37, ai commi 16 e 17 stabilisce infatti che, a decorrere dall'anno 2012, il Ministro della giustizia debba presentare alle Camere, entro il mese di giugno, una relazione sullo stato delle spese di giustizia, che comprende anche un monitoraggio delle spese relative al semestre precedente. Se dalla relazione dovesse emergere che siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle risorse stanziate annualmente dalla legge di bilancio per le spese di giustizia, lo stesso Ministro, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, dovrà (non è discrezionale) disporre l'incremento del contributo unificato in misura tale da garantire l'integrale copertura delle spese dell'anno di riferimento e in misura comunque non superiore al cinquanta per cento.
E’ evidente come, con provvedimenti arbitrari e privi di verifica e comparazione con le altre voci di bilancio, si rischi di vedere aumentato il contributo unificato del 50% all’anno. Non è forse questo il meccanismo per predisporre la fine della tutela giudiziaria? Non è forse questa l’arma finale per impedire al cittadino di accedere alla Giustizia ordinaria, con palese violazione dell’art. 24 Costituzione?
Altro punto da evidenziare: con la giustificazione di ridurre il contenzioso e velocizzare i giudizi, numerosi e disorganici sono stati gli interventi negli ultimi anni sulla procedura civile, con conseguenze pesantemente negative per la tutela dei diritti anche in sede di legittimità.
Grave problema, sottaciuto da tutti, ma connaturato alle pesanti pressioni della politica, è quello costituito dal fenomeno che definirei (mi sia permesso) “la magistratura impiegatizia”: Giudici togati che in primo grado, nell’intento di raggiungere gli obiettivi di “produttività” imposti dal Ministero, definiscono i giudizi sovente omettendo l’attività istruttoria richiesta dalle parti e “sfornano” sentenze scarsamente o malamente motivate, provocando, con efficienza causale diretta ed esclusiva, l’intasamento delle Corti di grado superiore alle quali la parte soccombente deve rivolgersi. Neppure si può immaginare cosa accadrebbe, in tema di tutela dei diritti, se dovesse passare l’ipotesi di riforma sulla cd. “motivazione breve”.
Il cittadino-utente è disarmato di fronte alla macchina mediatica dispiegata e non può rendersi conto, nell’immediato, che l’impedimento frapposto all’accesso alla Giustizia dal legislatore comporterà la perdita progressiva della possibilità di vedere tutelati i propri diritti, in primo luogo di fronte alle controparti “forti” che sempre di più si avvantaggeranno della situazione.
Illuminante al riguardo rilevare il rapporto tra le indicazioni della Confindustria e l’agire del Governo della Repubblica in questi ultimi due anni, che si sostanzia nell’attività di studio e programmazione (da parte della Confindustria) e nella pedissequa esecuzione da parte del Governo.
Per motivi di spazio, richiamo semplicemente alcune pagine della relazione di giugno 2011 del centro studi di Confindustria titolata “Ripresa globale: dallo slancio al consolidamento. Italia in ritardo” nella quale si passa (pag. 79) dall’approvazione della progressione dei magistrati per il numero di cause definite (riforma del 2007), all’affermazione (pag. 81) che esiste un rapporto diretto tra l’aumento del numero di avvocati e l’aumento della litigiosità perché “gli avvocati possono indurre più di un cliente a intentare cause non completamente necessarie”. Si suggeriscono poi i rimedi per migliorare la situazione della Giustizia (pagg. 94 e segg.): smaltimento dell’arretrato con misure straordinarie; rinvio delle cause già pendenti davanti ai (sic!!) mediatori; obbligo di estensione della motivazione breve delle sentenze, impulso alla trattazione orale con l’ovvia esclusione della redazione delle comparse conclusionali. Per finire si dichiara espressamente il proprio favore sia per l’aumento del contributo unificato che per l’obbligatorietà della mediazione.
Di fronte alla destrutturazione della giustizia civile e al totale svilimento della professione forense, concepita da tutte le principali forze politiche alla stregua di una attività commerciale con il richiamo malaccorto alla legislazione europea, risultano assolutamente inattivi i nostri enti istituzionali di categoria (CNF e Consigli dell’Ordine), che non sembrano neppure rendersi conto che la situazione in divenire comporterà a breve termine la perdita di gran parte o di tutte le loro funzioni, mentre l’azione della magistratura in sede civile diverrà sempre più irrilevante con evidente impoverimento della sua funzione costituzionale e con grave vulnus al bilanciamento dei poteri a tutela dei cittadini.
Il vuoto di potere che una politica inefficiente e corrotta sta creando, ha oggettivamente favorito la compressione dei diritti della generalità a favore di pochi.
L’operazione in atto costituisce il trionfo del relativismo culturale introdotto dalla teoria filosofica del “pensiero debole”  che, nella sua variante “politica” consente al detentore di questo potere di modificare e costruire la realtà a suo piacimento (celeberrima la frase di Donald Rumsfeld – ministro della difesa USA - dopo la caduta del comunismo: “ora il mondo lo facciamo noi”).
Dobbiamo opporci a questa deriva, facendo leva sulla realtà (i fatti ed il diritto) con gli strumenti propri della nostra professione e con la nostra autorità morale che ci deriva dalla difesa quotidiana dei diritti e degli interessi dei cittadini. Non dimentichiamo gli insegnamenti dell’Avv. Piero Calamandrei.
Sursum corda.

Fabrizio Bruni*
Avvocato del Foro di Roma e Presidente dell’Associazione degli Avvocati Romani

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