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L'ordine informatico

Il post elezioni forensi, come tutti i momenti simili, è caratterizzato dall’analisi del voto che vede generalmente i protagonisti leggere i risultati in senso a loro favorevole.
Mentre scrivo, stanno girando sul web mail ove i dati dei voti ricevuti dai candidati aggregatisi nelle liste e vengono riuniti e divisi al fine di trarne percentuali che dovrebbero dimostrare o smentire che il vincitore morale sarebbe l’avv. Vaglio (più votato dagli avvocati romani) e, quindi, egli avrebbe dovuto essere il destinatario di almeno una delle tre cariche istituzionali.
E’ una polemica che non mi appassiona cui, quindi, non parteciperò: ho già scritto nella mia lettera di rinuncia alla mia candidatura per il ballottaggio (riportata in sintesi nello speciale elezioni in altre pagine di questo giornale) che ritengo che la Legge Professionale, nel prevedere il doppio turno, deve essere interpretata nel senso che il legislatore abbia voluto stimolare rinunce, accorpamenti ed alleanze tra colleghi, in modo da assicurare all’elegendo Consiglio la maggioranza necessaria per un proficuo espletamento delle funzioni istituzionali.
Credo che, viceversa, sia più interessante procedere ad una analisi sociologica del voto. In primo luogo i numeri: al ballottaggio hanno votato 8.216 avvocati su 22.159 iscritti, il che significa che solo il 37% degli Avvocati Romani è interessato alla composizione dell’Ordine professionale.
E’ un dato probabilmente coerente con l’elevato numero degli iscritti, ma che significa anche che la maggioranza degli avvocati è completamente indifferente rispetto a ciò che fa l’Ordine e ritiene di fatto tale ente pubblico solo come il percettore di uno tanti barzelli italiani o come l’impositore di un minimo di regole disciplinari.
8.216 votanti significano anche che è impossibile per ogni candidato conoscere realmente i propri elettori e che, quindi, non vi potrà essere un rapporto reale tra eletto ed elettore. Ne deriva che la comunicazione non sarà più personale e per essa sarà quindi necessario adottare un linguaggio differente da quello tradizionale.
Ciò è confermato dai risultati: tra i sei consiglieri più votati, tre hanno fatto del web il proprio strumento di comunicazione principale e due hanno associato a tale forma il prestigio derivante dal ruolo di capolista ed altre modalità tipiche degli uomini politici.
La comunicazione via web si è dimostrata la più efficace: lo dimostra anche il fatto che il più votato (Mauro Vaglio) e gli unici eletti che non erano consiglieri uscenti (Domenico Condello ed Alessandro Graziani) sono in questo momento gli avvocati più accreditati sotto il profilo informatico ed hanno utilizzato tale strumento come la forma principale di dialogo con gli elettori.
Sia il neo presidente che Mauro Vaglio hanno poi anche fatto ricorso ad un video su Youtube, utilizzando per la prima volta tale strumento in una competizione forense.
Viceversa colui il quale era considerato una vera e propria , l’avv. Federico Bucci, che utilizzava sistemi (continui incontri, lettere, fax, ecc.) ha deciso di rinunciare per non essere riuscito a trasferire il proprio prestigio alle persone della propria lista.
Il numero di voti necessario per essere eletti consiglieri dell’Ordine degli Avvocati di Roma è superiore alle preferenze che consentirebbero di entrare nel Consiglio Comunale di Roma in un partito diverso da PDL o PD.
Sistemi di comunicazione di massa, numero degli iscritti e disaffezione per l’istituzione Consiglio dell’Ordine devono portare a riflettere sia sul ruolo dell’avvocato nel processo che sul modo di esercitare la professione.
Il nuovo processo telematico, oltre alle finalità positive di risolvere problemi di mobilità sul territorio e criticità derivanti dalle carenze del personale di cancelleria, apre le porte ad uno scenario futuro preoccupante: la sentenza automatica, ovvero emessa da un sistema informatico sulla base di parole chiave, quesiti predeterminati e riferimenti acritici a norme di legge.
La strada è stata aperta dalla motivazione sintetica delle sentenze con finalità deflattive di un sistema processuale ingolfato dalle carenze di organico e dalla incapacità di emettere pronunce con severe condanne per chi utilizzi lo strumento processuale per scopi dilatori o diversi da quello proprio di ottenere giustizia.
Chi scrive ha sempre sostenuto che, essendo il processo divenuto ormai essenzialmente scritto, sin dalle facoltà di giurisprudenza dovrebbe imporsi di studiare i fondamenti della scienza delle comunicazioni, atteso che l’arte oratoria diviene ogni giorno meno efficace.
La presa di coscienza dell’evoluzione dei modi di rapportarsi degli esseri umani anche nel pianeta giustizia non deve però limitarsi ad una accettazione acritica della nuova realtà e conseguente adeguamento alla stessa. Infatti, ciò facendo, si riduce la professionalità dell’avvocato a quella di operatore informatico con cognizioni di legge.
E’ palese che, se è vero che la maggioranza degli eletti al Consiglio dell’Ordine è costituita da validissimi professionisti, è analogamente vero che la maggior parte degli avvocati che sono difensori nei processi penali più importanti o curano gli affari civili più lucrosi o sono riusciti a dare un peso internazionale ai loro studi fa parte di quell’oltre 60% dei professionisti che hanno disertato le elezioni forensi e che si disinteressano delle vicende dell’Ordine.
Quindi, analizzando il mercato, l’informatica e le fasce reddituali sono su piani inversamente proporzionali, nel senso che i nuovi sistemi di comunicazione sono finalizzati ad assorbire il micro contenzioso quotidiano, con bassi indici di redditività delle singole pratiche.
In tale contesto lavorare per la dignità della toga non sarà facile per i nuovi eletti, cui quindi l’augurio di non è solo un atto di cortesia, ma una necessità derivante dall’arduo ruolo.

Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma

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